IL SUONO APPLICATO ALLA NECESSITA’ DELL’EVIDENZA
di Max Magni
1.1 LA PUBBLICITA’ COME CONCETTO UNIVERSALE
Si può affermare dunque che, se la pubblicità, come concetto ampio, è nata come necessità della Vita di esprimersi, allora la musica ad uso della pubblicità e’ nata con tutte quelle forme di vita capaci di interagire, direttamente o indirettamente attraverso suoni o rumori intenzionalmente realizzati per sottolineare un determinato comportamento-messaggio dettato dalla necessità di generare un qualche tipo di effetto, o risultato.
Questo concetto si può ben esprimere con la seguente formula:
I Premessa: Necessità di realizzazione di un desiderio +
II Premessa: Intenzione +
Concausa 1: Prodotto sonoro +
Concausa 2: Prodotto pubblicitario =
Effetto: Manifestazione agli altri del prodotto-oggetto =
Obbiettivo: Realizzazione del desiderio
Quindi il concetto di “suono applicato all’intenzione dell’evidenza” ha l’ambizione di esprimere un tipo di comportamento universale. L’uomo ha strettamente collegato il termine “pubblicità” con quei comportamenti strategici di carattere prevalentemente commerciale, quando invece nella realtà delle cose, tutta una serie di azioni, che non necessariamente appartengono alla specie umana, né ne sono una propria esclusiva, devono inequivocabilmente essere considerate “pubblicità”. Se il concetto semantico di “pubblicità sonora” è, perciò, tipicamente umano, il prodotto che tenta di significare non appartiene esclusivamente all’uomo, ma alla Vita stessa universalmente rappresentata.
D’altra parte, nel particolare, anche l’essere umano, nel lungo percorso della sua evoluzione preistorica, è stato sempre accompagnato dal fenomeno del “suono applicato alla necessità dell’evidenza”, con molteplici variazioni sul tema. E quando egli ha avuto l’esigenza di sottolineare, di de-cantare una propria o altrui caratteristica o, di rendere pubblico qualcosa, o ha desiderato vendere un prodotto, un’idea, oppure ha avuto la necessità di affermare se stesso, l’ha comunque fatto considerando la percezione della realtà, attraverso l’utilizzo dei cinque sensi, dei destinatari.
Ed è l’udito in particolare che ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo sociale dell’uomo, più della vista o degli altri sensi. In particolar modo è attraverso l’udito infatti che l’uomo ha potuto, per esempio, far fronte ai pericoli (attacchi dei suoi simili o di animali feroci) e ha potuto provvedere al cibo. Quando la comunicazione verbale era ancora una lontana chimera, egli aveva già ben sviluppato quest’organo sensoriale.
L’uomo primitivo insomma esprimeva se stesso in modo più o meno articolato attraverso versi (come “u” ,“a”, “o”, “ug”, “mm”, ecc.), o più tardi anche con suoni (fischi, canti, strumenti a fiato…) e rumori (percussioni di materiali con altri materiali) con la consapevolezza e la volontà che la vibrazione dell’aria in tali modi prodotta, avrebbe avuto “una corsia preferenziale” nel messaggio (pubblicitario) che dal suono era accompagnato e che veniva da lui posto in essere per ottenere qualcosa (corteggiamento di una femmina, il rispetto, o il potere del comando nei confronti del gruppo, la gioia, o la critica, o la rabbia per qualcosa).
Ogni qualvolta l’essere umano ha accompagnato un comportamento intenzionale con suoni, e l’ha fatto con il preciso scopo di ottenere come risultato la pubblicazione di qualcosa, ha prodotto musica (o rumore) applicata alla pubblicità, “suono applicato alla necessità dell’evidenza”.
A questo punto e prima di affrontare le vicende dell’evoluzione storica di tale fenomeno, è necessario dare delle definizioni della materia trattata. Il termine “pubblicità” ha origine nel XVI secolo dal francese “publicité”. Ma la radice è chiaramente latina (da publicus = pubblico). Si definisce pubblicità, quel prodotto, diretto a segnalare l'esistenza e la conoscenza delle caratteristiche di specifici altri prodotti, servizi e prestazioni, comportamenti o messaggi di vario genere, realizzato predisponendo i mezzi, i modi, o tutti gli strumenti ritenuti più idonei per il tipo di realtà verso la quale è indirizzato. Configura una tecnica di comunicazione intenzionale, persuasoria, finalizzata alla realizzazione di un determinato obiettivo (commerciale, umano, sociale, politico, personale).
Anche il termine “réclame” ha origine in Francia, e si può tradurre letteralmente come “chiamata”, o “richiamo” e venne usato per la prima volta nel mondo tipografico per indicare un breve cenno a piè di pagina nel testo di un giornale, con rinvio agli annunci pubblicitari. Da questa accezione letterale, ha nel tempo assunto nuovo significato, andando ad abbracciare genericamente il concetto di pubblicità.
1.2 LE ORIGINI E L’EVOLUZIONE STORICA DELLA PUBBLICITA’ SOCIAL-COMMERCIALE
Nel corso della Storia, il concetto di musica per la pubblicità traduce sempre più un significato sociale e commerciale di strategie dell’uomo e per l’uomo. E’ pacifico che i concetti di “suono per l’intenzione”, o ”suono per la necessità dell’evidenza” sono sempre validi, proprio perché applicabili universalmente, prescindendo da significazioni umane, ma l’analisi storica di questa materia, ci porta inevitabilmente a considerare i suoi aspetti economici, commerciali e sociali. Una grande avventura che, attraverso voli pindarici, conduce la nostra attenzione fino ai moderni spot televisivi.
Nella cultura Greca, erano sicuramente già presenti le prime forme di pubblicità accompagnata da musica anche se in un’accezione diversa da quella commerciale moderna, ma più vicina al concetto universale suddetto. Si potrebbero definire delle tipologie di “pubblicità rituale”. Si pensi al culto di Dioniso da cui derivò la tragedia (= il canto del capro). Si trattava di danze rituali di tipo orgiastico in cui il vino svolgeva un ruolo catartico ed in cui l’elemento centrale consisteva nel sacrificio di un caprone al dio Dioniso. In questo contesto, i seguaci, sempre più rapiti da uno stato ipnotico, danzavano e cantavano, celebrando le lodi del dio e indossando pelli di capra. Questo culto veniva celebrato nelle campagne durante il periodo della vendemmia, con un chiaro scopo sia religioso-propiziatorio, che agricolo-commerciale.
Durante l’Impero Romano, interessanti sono le testimonianze raccolte da illustri letterati quali, lo storico Flavio, o il poeta Calpurnio i quali ci descrivono, tra le altre cose, le strategie pubblicitarie adottate per propagandare i “giochi gladiatorii”, o le prime pubblicità di carattere politico. Ed è nello stesso periodo che comincia a diffondersi il fenomeno dei venditori ambulanti, i quali si riversavano periodicamente nelle strade delle grandi città, seguendo i respiri della natura e della società. Erano contadini e allevatori che dalle campagne vicine portavano frutta, verdura e animali e che si attrezzavano con caratteristici carri, ma che non avendo un luogo di vendita prestabilito, dovevano necessariamente sedurre i viandanti con canzoni e litanie così da vendere specifici prodotti agricoli.
Questa tradizione di “urlatori agricoli” continua anche durante il Medioevo, basti citare come esempi quelli descritti da Jean-Remi Julien nel trattato “Musica e Pubblicità” (Ricordi 1989), nel quale riporta che ne compaiono due nel mottetto a tre voci del “Manuscript de Montpellier”, e cita tre testi dello stesso periodo: “Criers de Paris” di Guillaume de La Villeneuve, “Li diz de l’erberie” di Rutebeuf e “Le dit du Lendit”.
Nei secoli successivi, poi, riferimenti agli “ambulanti canterini” sono presenti in molte opere colte, da “Voulez ouyr les cris de Paris” di Clément Janequin (1530) a “The cries of London” di Luciano Berio (1980), passando per Luigi Cherubini (“Il portatore d’acqua”, 1800), Offenbach (“Mesdames de la halle”, 1858), ecc.
Insomma per assistere alla nascita della musica applicata alla pubblicità, in senso commerciale, non bisogna aspettare la nascita del programma televisivo Carosello, poiché la Storia ci riporta numerosi casi di “advertising”.
Anche grandi compositori, pur se di rado, si occuparono del binomio suono-pubblicità, come ad esempio Josef Strauss, in una specifica veste di compositore di jingle ante litteram. Siamo a Vienna, è il 1869. L’industriale Franz Von Wertheim produce famose casseforti a prova d'incendio; in un solo anno la sua azienda riesce a vendere oltre 20.000 unità di questo prodotto. Per festeggiare il grande successo commerciale Von Wertheim decide di organizzare un ballo. A tal proposito chiama Josef Strauss, commissionandogli una polka dal titolo inequivocabile ed evocativo del suo prodotto: "Feuerfest!", cioè "Ininfiammabile!"
In Italia tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo cominciarono ad essere commissionati ad artisti di varia provenienza e cultura, i primi lavori musicali di commento a messaggi pubblicitari. In particolare ed a titolo d’esempio, si può ricordare nel 1880, a Napoli, Peppino Turco (giornalista) e Luigi Denza (musicista), i quali furono incaricati di scrivere una canzone per pubblicizzare la costruzione della funicolare vesuviana. La canzone, fu simpaticamente intitolata “Funiculì, Funiculà” ed a seguito dell’esecuzione durante l’inaugurazione del 6 giugno 1880, divenne famosissima.
Dieci anni dopo, una sorta di bis: il senese Ernesto Becucci compose “Corsa elettrica da Firenze a Fiesole” per l'inaugurazione, nel settembre 1890, della prima tramvia del Regno d'Italia.
Continuando con gli esempi, nel 1932, la Campari affidò al tenore Fernando Crivelli, in arte Crivel, l’esecuzione della canzone, “L’ora del Campari” (di Dufas-Blot); nel 1936 furono commissionata al cantante di varietà Enzo Fusco, la composizione del brano “U.P.I.M.” (“All’U.P.I.M. spenderà pochi quattrin/ All’U.P.I.M. vanno i grandi ed i piccin…”).
1.3 LA NASCITA DELLA CULTURA PUBBLICITARIA RADIOTELEVISIVA
In Italia, la diffusione della Radio come fenomeno di massa, ha inizio a partire dagli anni ‘20 con la nascita della prima emittente italiana: “Unione Radiofonica Italiana” (U.R.I), infatti, esordì il 6 ottobre 1924, in una sala in Via Maria Cristina a Roma, nelle vicinanze di Piazza del Popolo. Veniva eseguito in quella occasione “il quartetto d'archi opera n.7” di Franz Joseph Haydn. Il 27 novembre, l'URI iniziava le sue comunicazioni regolari giornaliere. Tuttavia, l'alto costo degli apparecchi (nell'Italia degli anni ‘20, il costo unitario era di circa 3.000 lire e il reddito medio annuo non superava le 1.000 lire), ne riservava l'uso alle famiglie più abbienti. Similmente a quanto avverrà poi per la televisione, la gente, non potendo permettersi una radio nella propria casa, si recava ad ascoltarla nei bar e nei locali pubblici, e la propaganda fascista favorì la diffusione di altoparlanti che collegati agli apparecchi trasmettevano i discorsi del Duce nelle piazze di tutto il Paese.
Nel 1930, con la creazione della concessionaria S.I.P.R.A. (acronimo di Società Italiana per la Pubblicità Radiofonica Anonima) iniziò la trasmissione dei primi spot pubblicitari radiofonici, e si comprese subito come, per l’efficacia del messaggio pubblicitario, sarebbe stata imprescindibile l’utilizzazione del jingle, una breve successione di note su cui veniva cantato un testo-slogan e la cui diffusione negli Stati Uniti cominciò probabilmente intorno al 1923, per la valorizzazione del messaggio pubblicitario, di per se assai limitato a causa del mezzo radiofonico che lo veicolava. Nel 1934 si contavano 900.000 ascoltatori ma in realtà i “radioamatori” erano più di otto milioni.
In Italia, il 3 gennaio del 1954 (domenica) la “Rai- Radio televisione italiana” iniziò ufficialmente il servizio regolare di trasmissione anche se già a partire dal 22 luglio del 1939, in via sperimentale, entra in funzione il trasmettitore video della stazione sperimentale di televisione di Roma-Monte Mario, che effettua per circa un anno regolari trasmissioni quotidiane con lo standard di 441 linee. Come nel resto d'Europa, la RAI fu da subito una televisione pubblica gestita dallo Stato in regime di monopolio.
Nella prima metà degli anni ‘50 la pubblicità “sonora” italiana cercava una sua identità e il raggiungimento di una maturità che aveva come fonte d’ispirazione la televisione degli Stati Uniti, ma il linguaggio espressivo toccava ancora alti livelli di ingenuità: emblematica la pubblicità dei ciclomotori, realizzata senza che essi venissero mai mostrati in movimento e sempre cavalcati in ambiente chiuso con il cavalletto abbassato. Le difficoltà nel seguirli in movimento, con i testimonial che avrebbero dovuto cantare sul motorino o sulla lambretta, induceva questa scelta che comunque ai primi spettatori di questo “genere cinematografico”, non appariva affatto comica.
1.4 IL FENOMENO “CAROSELLO”
L’utilizzo della musica all’interno della pubblicità radiotelevisiva ha sempre avuto un ruolo fondamentale, ma estremamente differente nei decenni della televisione italiana. Ciò è stato determinato sia da un differente livello culturale della popolazione italiana a cui la pubblicità faceva riferimento, sia dalla diversa durata dello spot (dai 135” dei primi caroselli ai 5” di alcuni spot attuali), sia dai differenti costi degli spazi, sia dal moltiplicarsi delle aziende che investono in pubblicità radiotelevisiva, sia da una differente consapevolezza di alcuni pubblicitari della potenzialità dello strumento e del mezzo.
In origine, Carosello racchiudeva 4 spot (poi 5) e andava in onda tutti i giorni alle 20,50 dopo il telegiornale sull’allora unico canale Rai (poi sul Primo Canale). Come non ricordarsi della famosa frase pronunciata dalle nostre madri con meccanica cadenza giornaliera: “Dopo Carosello, subito a letto!”. Fu un vero e proprio catalizzatore dell’attenzione degli Italiani fino al 1° gennaio del 1977; una sorta di totem della televisione e del costume italiano; un “contenitore intelligente” di spot pubblicitari che ebbe fin dalla nascita un successo immenso, divenendo ben presto il programma più seguito della Rai. Gli ingredienti erano semplici, ma geniali: c’erano continue idee innovative, si utilizzavano “i filoni”, cioè spot di una stessa serie, con elementi caratterizzanti comuni, ma con storie autoconclusive, i quali trasmettevano nel telespettatore un senso di sicurezza e di familiarità (ad es.: “Calimero”, “L’ispettore Rock”, “Caballero e Carmencita”, ecc…): insomma tutto un nuovo modo di comunicare; le pubblicità erano delle vere e proprie rappresentazioni, in cui solitamente in coda (il cosiddetto “Codino”) veniva inserito, timidamente, quasi come un compito “necessario”, da assolvere il più velocemente possibile, il messaggio pubblicitario (in realtà c’era dietro un preciso studio di marketing psicologico da parte di pubblicitari lungimiranti) e il risultato era che il telespettatore di quei tempi non aveva la sgradevole sensazione di aggressione che si avverte attualmente per il martellante, “maleducato” uso dello spot persuasivo. C’era insomma la prevalenza dello spettacolo all’interno della pubblicità stessa e il messaggio con relativo jingle risultava, per merito dei pubblicitari, come una conseguenza naturale del programma stesso.
Per comprendere bene la forza di Carosello, si consideri che tutto l’entourage culturale, artistico di quei tempi passò da quì: è un elenco lunghissimo di personaggi mitici; è doveroso ricordare: Totò, Mina, Raimondo Vianello, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Dario Fo, Gianni Morandi, Claudio Villa, Maria Giovanna Elmi, Claudio Lippi, Gianni Boncompagni, Renzo Arbore, Nino Taranto, Peppino De Filippo, Nereo Rocco, Mike Bongiorno, Corrado, Pippo Baudo, Raffaella Carrà. A completamento di queste caratteristiche, va detto, infine, che fu utilizzato un format originale e “frizzante”, conservato nella sua essenza, sia pur con evoluzioni continue, fino alla conclusione del programma nel 1977.
Carosello fu una fucina incredibile di jingle rimasti ancora oggi nell’immaginario e nella memoria collettiva. Un contributo degno di nota fu dato, in particolare dal compositore Franco Godi; di lui si ricorda: la musica per il cavallo della Vidal o quella del Fernet Branca degli anni ‘68-’76. Sue sono le musiche degli spot Bertolli (“Olivella e Maria Rosa”), Ambrosoli (“Dolce cara mammina”), Sao Cafè (“Ci-ci bum ci-ci bum be be/dal Brasil Sao Cafè”), Ondaflex (“Bidibodibù/Bidibodiyè”), Kodak (“Una foto una foto una foto immediata-ta-ta”), Orzoro (“O-o O-o-orzoro”), SAI Assicurazioni (“Si re si re” finita anche in classifica nel 1974), Perugina (da “Tanti Baci Perugina” del 1967 a “Love’s a tender kiss” 2000-’01-’02), Nelsen (“I piatti-ti i piatti-ti/con Nelsen piatti li vuol lavare lui”), e “i mille sorrisi” Colgate accompagnati dal jingle “Ti spunta un fiore in bocca”.
Fin dagli esordi di Carosello, un elemento di forza e di caratterizzazione, fu lo scritturare un cantante di successo come testimonial: si pensi ad esempio a Nilla Pizzi che rappresentò nel 1957 le distillerie Fabbri con il prodotto “Brandy Grand Senior”. Ma la vera e propria esplosione di questo fenomeno, avvenne dopo la metà degli anni ‘60, in cui i cantanti di successo (e non solo) furono chiamati, in linea con la propria professione musicale, a fare da testimonial ai prodotti più impensabili: vediamo ad esempio il caso Arrigoni. Per reclamizzare pelati e conserve alimentari Arrigoni nel 1967-68, furono “ingaggiati”: Gianni Pettenati (famoso soprattutto per “Bandiera Gialla”, 1966), Rocky Roberts (che aveva da poco inciso “Stasera mi butto”, 1967), Wilma Goich (celebre la sua “Le colline sono in fiore” in classifica all’inizio del ’65), Pino Donaggio (che vantava già 5 pezzi entrati nella Top Ten tra il 1961 e il 1965; sua l’immortale “Io che non vivo”), Robertino (in classifica nel 1964 con “Un bacio piccolissimo”) ed inoltre Patrick Samson (cantante libanese), Isabella Iannetti, Lalla Leone e Sabina Ciuffini. I caroselli risultano briosi (specie uno con i cantanti sopra ad una giostra per bambini…), ma il legame intercorrente tra il target dei pelati Arrigoni e quello dei cantanti sopracitati risulta senz’altro un po’ oscuro.
Non possiamo, inoltre, dimenticare Mina (per i caroselli Barilla, Atlantic, Industria Italiana della Birra, Pasta Combattenti e Cedrata Tassoni), Milva (per Caffè Bourbon), Patty Pravo (per i gelati Algida canta “Qui e là” ballando sopra ad un trenino gommato porta bagagli tra i binari della stazione Termini; reclamizzerà anche il gelato “Piper”). E poi Ornella Vanoni, che dal 1973 al 1976 promuove il vermouth Martini, cantando brani d’autore e, con grande enfasi, il famosissimo “codino”: “…chiunque e dovunque tu sei, lo puoi scegliere come tu vuoi: vigoroso o dry…..un Martini” o anche “Sempre giusto è il gusto di Martini”.
Ci sono, anche, altre sorprese: Frank Sinatra per i Baci Perugina, Teo Teocoli (era un cantante e faceva parte del Clan di Celentano; fu “cantante e tamburello” di “Quelli”, accompagnato dai futuri PFM, Franco Mussida e Franz di Cioccio) per Oransoda (1968) e per il televisore Vulcano della Philips (1974), Ron per il “Televisore Immortale” della Magneti Marelli (carosello del 1970; Ron aveva già partecipato, con il suo vero nome Rosalino Cellamare, al Festival di Sanremo dello stesso anno con la canzone “Pa’ diglielo a ma”). E ancora Alberto Rabagliati, Adriano Celentano (attivo in pubblicità anche negli anni novanta, con la serie di spot per le Ferrovie dello Stato), Renato Carosone, Lucio Dalla, Domenico Modugno, Gianni Morandi.
Nel 1959, lo spot dello shampoo Biodop (della Saipo-L’Oréal), vide Mike Bongiorno lanciare l’allora sconosciuto cantante sardo Riccardo Sanna che diventerà poi Ricky Gianco (presenza attivissima nel clan di Celentano, interprete di “Il vento dell’est”, autore della celeberrima “Ora sei rimasta sola”, e dagli anni ’70 cantautore impegnato e fido collaboratore di Gianfranco Manfredi). Mike ad un certo punto dice a Ricky Gianco: “…e noi ti auguriamo in nome di chi ti ha aiutato, la Oreal, di restare in questo juke-box per tanto e tanto tempo ancora. Tu, in segno di riconoscenza, invece, dovrai continuare ad usare, perché vedo che lo metti già in testa, il Biodop”. La cosa che fa sorridere è che la folta chioma di Ricky Gianco, ben visibile nel carosello del 1959, sarebbe scomparsa nel giro di pochi anni: il prezzo del successo?
In fase di acquisto, allegato al prodotto reclamizzato, si poteva trovare in omaggio un disco 45 giri del cantante testimonial. Negli anni ‘60 e, in minor misura, negli anni ‘70, moltissime aziende di prodotti editoriali ed alimentari investirono su questo semplice strumento, anche senza ricorrere alla pubblicità televisiva: riviste come “Gioia”, “Nuova Enigmistica Tascabile”, bevande come l’aranciata “Pejo”, alimenti come “Invernizzina” omaggiavano gli acquirenti di dischi personalizzati. Diverse erano le tipologie distribuite: la formula più “onerosa” era il “picture disc” (ovvero un disco con il logo del produttore o un’immagine pubblicitaria del prodotto stampati sopra al vinile), ma c’erano formule molto più economiche come i 45 giri con la sola copertina (o custodia) personalizzata o anche dischi sottili come un foglio di carta (nessuna personalizzazione e risparmio sui materiali di produzione).
Nell’ultimo decennio questo tipo di promozione è pressoché scomparsa per quanto concerne le merceologie non editoriali: qualche rara iniziativa è riscontrabile nel settore liquori e parafarmaceutico. Ha invece preso pieno vigore nei giornali quotidiani: sfruttando la tiratura elevata, essi riescono a proporre opere musicali a tariffe “promozionali”; il quotidiano ha un prezzo troppo contenuto per poter includere quello di un CD, ma l’acquirente che optasse per l’abbinamento troverebbe il “pacchetto” estremamente conveniente.
Uno strumento promozionale abbastanza simile al precedente fu utilizzato dalla Perugina: all’interno della confezione dei cioccolatini “Baci” venne inserito un “buono” per “ottenere uno sconto sull’acquisto dei dischi di Frank Sinatra”.
Un altro esempio di professionista musicale chiamato a svolgere un ruolo lontano dalla sua professionalità musicale è quello di Francesco Guccini. Egli fu paroliere, sceneggiatore e gag-man di alcuni spot di prodotti Fabbri: ciliegie sotto spirito, sciroppi, “Grappuva”; annate 1966-1967. Guccini all’epoca aveva già composto canzoni come “Auschwitz”(Novembre 1964) e “Dio è morto” (Marzo 1965), ma la loro incisione (e conseguente diffusione discografica) fu successiva sia nelle versioni dell’Equipe 84 che in quella dei Nomadi. La versione di Guccini (nel LP “Folk beat n.1”) risulta del 1967. Guccini nel ’66 è comunque residente e già attivo (musicalmente) a Bologna: pare probabile che il coinvolgimento del cantautore sia dovuto all’incontro con Bonvi, operante a Bologna (e successivamente apprezzato autore delle Sturmtruppen).
Degni di nota sono anche il regista/sceneggiatore/produttore Guido De Maria, il già citato compositore Franco Godi, il paroliere/sceneggiatore Bonvi che negli anni ’70, i quali furono i pilastri della trasmissione a cartoni animati “Supergulp” e “Supergulp n.2”, le cui sigle (cantate da Jona come pure la celeberrima “Giumbolo” ) sono ambitissime dagli amatori del genere.
E’ doveroso ricordare, poi, come la pubblicità, da Carosello in poi, ha come grande merito quello di aver contribuito alla divulgazione della musica classica, nel senso che ne ha promosso la conoscenza melodica, senza però dare mai alcuna indicazione circa titolo, autore, anno di composizione, esecutore, luogo e data di esecuzione del brano trasmesso. Tra i brani di musica classica utilizzati, si ricordano:
- La celeberrima “Romanza n.2 per violino e orchestra op.50” di Beethoven, inserita nello spot del brandy “Vecchia Romagna etichetta nera” della Buton, riarrangiata nel 1974 in modo discutibile (ma molto in voga in quegli anni) da James Last.
- “Sogno d’amore n.3” di Liszt nella famosa pubblicità anni ’80 delle pellicce Annabella;
- “Il Concerto n.1 per pianoforte” (dal primo movimento) di Ciaikowski nella celeberrima pubblicità del Cynar, con Ernesto Calindri seduto in mezzo ad un campo di carciofi;
- “La Polacca n.6 in La bemolle maggiore op.53“ di Chopin nella pubblicità del “Bitter Campari”;
- La splendida “Sinfonia n°40 K550” di Mozart utilizzata in numerosi spot per prodotti assolutamente diversi;
- “Il Mattino” dall’opera “Peer Gynt” di Edward Greig per la pubblicità dell’”Olio Sasso”.
Dopo un ventennio di monopolio ininterrotto, ed un’immensa produzione, il 1° gennaio del 1977, fu trasmessa l’ultima puntata di Carosello.
1.5 L’EREDITA’ DI CAROSELLO
La fine di Carosello e del successivo “Spazio F” (1978) coincide con la progressiva diffusione delle emittenti “private”: queste nuove televisioni scoprono presto il proficuo “gioco” della pubblicità. I prezzi per uno spazio pubblicitario si abbassano considerevolmente (da una situazione di monopolio Rai, gli offerenti di spazi vengono in breve tempo ad essere un’enormità), aumenta la domanda di imprese che vogliono farsi conoscere con questo strumento oggi accessibile. Nel 1979 le emittenti private trasmettono i primi spot elettorali. In questo contesto, come si può intuire, aumentano a dismisura i lavori per le agenzie di pubblicità: ne risultano, da un lato, spot di indiscutibile valore e professionalità, ma, contemporaneamente, anche prodotti decisamente “amatoriali”.
A poco a poco l’eredità di Carosello diventa meno evidente, se non altro, per il fatto che approdano sugli schermi nuovi testimonial; ma il legame con la tradizione non poteva perdersi in così breve tempo, e quindi il gusto per il jingle orecchiabile, lo slogan indovinato, i personaggi accattivanti, la musica di facile memorizzazione viene portato avanti per molti anni ancora, anche con risultati di rilievo. A cavallo tra gli anni ’70 e ‘80, Gianrico Tedeschi diventa il volto del cofanetto Sperlari, “così bello che non si incarta mai”, mentre Giuni Russo intona "Colore sempre vivo" per la pubblicità dei televisori Philips (1979). Carlo Dapporto cura il coro femminile che cantava “Pasta del Capitano!” (1980). Curioso, infine, come si sia giunti all'impiego di Lino Toffolo per pubblicizzare le confetture Santa Rosa: galeotta fu l'onda lunga del successo riscosso dalla sigla televisiva “Johnny Bassotto”, da lui interpretata nel 1976, che inizia con la domanda "Chi ha rubato la marmellata?".
Se qualcuno nel 1976 (Mike Bongiorno come testimonial) aveva pensato che il massimo dell’osare umano fosse stare sul Cervino e gridare “sempre più in alto”, tenendo in mano una bottiglia di Grappa Bocchino Sigillo Nero, dondolandosi sulle note di “Un Sospero” (interpretata dal gruppo Daniel Sentacruz Ensemble), avrà certamente modo di ricredersi. I prodotti destinati ad un pubblico giovane assunsero una comunicazione pubblicitaria di respiro sempre più internazionale: si pensi agli spot di gomme da masticare americane definite da quel momento “bubble gum”, tra cui si ricordano “Brooklin”, sopra a tutte, e “Big Babol” (restano scolpite nella memoria le performance di Daniela Goggi, cantante e ballerina la quale intonava: "…È più grande il suo pallone, e fra i denti è un morbidone"); spot di jeans (Carrera, Levi‘s, etc.), spot di bibite (Coca-Cola, Fanta). Memorabile lo spot hippy-natalizio della Coca-Cola con la canzone “Come vorrei un mondo che cantasse insieme a me”, traduzione italiana (a cura di C. Minellono, più volte collaboratore di Toto Cutugno) della canzone “I’d Like To Teach The World To Sing” (B.Backer, B.Davis, R. Cook, R. Greenaway). I brani musicali stranieri, specie statunitensi, proliferarono: persino il Country di John Denver (“Rhymes and reasons”) divenne utile per la promozione dei materassi Permaflex. “La colegiala” del gruppo sudamericano “Rodolfo y su Tipica” dallo spot del Nescafè divenne un 45 giri di successo, raggiungedo il 4°posto in hit parade nel 1984. Nacque, così, un inedito effetto di diffusione musicale, grazie alla pubblicità. Si pensi alla canzone di Andrea Bocelli “Con te partirò”, presentata al Festival di Sanremo del 1995, senza particolare successo (il CD “Bocelli” raggiungerà nel 1995 la decima posizione in hit parade), la quale acquisterà una “seconda giovinezza”, una volta inserita nello spot TIM.
Con i primi anni ‘80 si registra anche l’intensificarsi dell’uso dello slogan e l’avvento dei “tormentoni”, frasi ripetute più e più volte allo scopo di rimanere impresse nella mente dello spettatore. Gli slogan dovevano essere ben congegnati, in modo che entrassero a far parte della vita degli italiani, legati al nome del prodotto ma utilizzabili anche in situazioni di quotidianità. Vengono ancora oggi usate da molti le frasi “O così o Pomì”, “Ho una fame che vedo Vismara”, “L’uomo Del Monte ha detto sì”, ecc.. “Il tormentone” venne favorito anche dal fatto che nel frattempo si perse la regola per cui il nome del prodotto doveva essere ripetuto più di quattro volte all'interno dello spot; questo favorì la produzione di telecomunicati come quello di “Perlana, passaparola”, nel quale la frase “Morbido, è nuovo? No, lavato con Perlana” veniva reiterata più e più volte. Alcuni celebri spot necessitano di una correzione nel tiro, per motivi giudiziari o di opportunità. Il “Galletto Amburghese Vallespluga”, legato ad Achille Vaccaroni e a un celebre jingle, è costretto a cambiare nome in Galletto Vallespluga, dal momento che non è affatto amburghese. Anche il veterinario dell’”Amaro Montenegro” deve cambiare mestiere, in quanto l’associazione dei veterinari non gradì che qualcuno potesse pensare che la categoria potesse essere ricompensata fondamentalmente a suon di bicchieri di alcolico. Anche in questo periodo celebri testimonial e registi, italiani e stranieri, accettarono di lavorare per la pubblicità italiana. Fellini per la Barilla (“e noi tutti in coro diciamo Barilla”), Peter Falk per la Coop (già celebre il jingle e relativo slogan: “la Coop sei tu, chi può darti di più”); successivamente furono reclutati personaggi del calibro di Woody Allen, Telly Savalas per Biancosarti (“mio aperitivo vigoroso”). Nel frattempo, anche una frase già in uso da tempo, diventò un fortunato slogan: “Ma chi sono io? Babbo Natale?” per i prodotti Bistefani. Da ricordare inoltre che “Quando passa Mastro Lindo, che pulito, ti ci vedi!”. Un altro degli slogan che ha lasciato un segno nella memoria degli italiani fu quello della Telefunken: “Potevamo stupirvi con effetti speciali, ma noi siamo scienza, non fantascienza”.
Accanto ai jingle originali, le agenzie pubblicitarie iniziano a utilizzare melodie celebri con un testo reinventato o riadattato per l'occasione. Non che fosse una novità assoluta (negli anni ‘60 il jingle del vermouth Gancia era una canzone popolare), ma è solo con gli anni ‘80 che si diffonde questa abitudine. Per citare solo alcuni esempi, ricordiamo “Il barbiere di Siviglia“ cantata da Franco Franchi per “Lamarasoio Bic”, oppure “Brazil” per il “Caffè Bourbon” e la “Carmen di Bizet” per il detersivo “Aiax”.
A partire dalla metà degli anni ’80, il primato dei jingle cominciò a incrinarsi e divenne una scommessa per le agenzie pubblicitarie, quella di individuare brani dimenticati, o semisconosciuti in Italia per farli divenire delle hits, garantendo così il successo dello spot “contenitore”. Si ricordano: “Song for Guy” di Elton John per la “Birra Kronenburg” e “Limelight” degli Alan Parson's Project per “Margherita Ariston” o temi musicali come “Hymn” di Vangelis o “C'est le vent, Betty” di Gabriel Yared, nati per il cinema ma poi usati rispettivamente per la pasta Barilla (lo spot con il gattino) e per i capi di abbigliamento Stefanel. Tali hits furono poi raccolte in Compilation (da “TV Music” del 1985 alla collana “Top of the spot”) e vendute in tutti i negozi di dischi.
L'ultima massiccia produzione di jingle risale a fine anni ‘80: “Sofficini Findus” (“Il sorriso che c’è in te”), Melegatti (“La fortuna, lo sai, con Melegatti è più dolce che mai”), Baleno (“e lavoro meno”). Ma è il canto del cigno: la grande stagione dei jingle volge ormai al termine.
Negli anni ‘90 nacquero i “Ringo Boys”, continuò la saga di “Michele l’intenditore di whisky” per Glen Grant (“Colore chiaro, gusto pulito”) e vennero ideati gli ultimi grandi personaggi/testimonial, tra i quali “Capitan Findus” (il cui volto divenne il logo stesso degli omonimi bastoncini di merluzzo), il già citato “Uomo Del Mont”e, Kaori per Philadelphia (poi affiancata e sostituita da Gianrico Tedeschi, alla sua seconda giovinezza nel mondo della pubblicità). In questi anni, i cambiamenti di tecnologia televisiva e di gusto, sia dei pubblicitari sia del pubblico, portarono a una nuova rivoluzione: niente più jingle (tranne rare eccezioni come per Beltè), niente più “tormentoni”, niente più slogan ad effetto; gli spot non vennero più girati su pellicola ma su supporti digitali ad alta definizione. Anche la post-produzione venne effettuata digitalmente, e gli effetti speciali e i ritocchi, resi possibili da tali tecniche, spinsero i creativi a concepire gli spot come se fossero brevissimi cortometraggi, ricchi di immagini di grande appeal, nuove cromaticità, trovate visive innovative, suoni e musiche che ben si fondono con esse. Dunque, a partire dai primi anni ‘90, e ancor più nel nuovo millennio, la pubblicità ha trovato in Italia una nuova dimensione artistica: se negli anni ‘80 lo stacco pubblicitario costituiva oggettivamente una caduta di livello rispetto alla trasmissione che lo conteneva, ora gli spot, anche quelli “low cost” nell’ambito della proposta generale, sono tra i momenti più apprezzabili della giornata televisiva. Ma non sono affatto memorabili. Non sembrano cioè concepiti per essere ricordati e comunque, se pur rimangono in mente alcune scene (per esempio quella del vicino di casa che dice “Buonaseeera”), difficilmente si riesce a ricondurre a esse il nome del prodotto. Non si tratta di una tendenza verso un messaggio più subliminale; piuttosto si cerca, più o meno volutamente, di influenzare la volontà d’acquisto limitatamente al periodo di diffusione dello spot. La moda ormai è padrona del mercato; i prodotti cambiano forma, contenuto e magari anche nome nel giro di qualche mese. Le offerte legate al prodotto, le tariffe del servizio reclamizzato si modificano nel giro di poche settimane. Inutile dunque creare uno spot che nella memoria collettiva sopravviva al prodotto, come spesso avveniva in passato: significherebbe non concentrare gli sforzi nella direzione e nello spazio temporale corretti.
E’ utile poi accennare ad un fenomeno di crescente diffusione: il cosiddetto “Mash up”. Si tratta di utilizzare una serie di brani pubblicitari “originali” che citano in modo abbastanza palese opere musicali già note. In diversi spot viene, cioè, accennata, solo per alcuni istanti, una celebre “aria”, un “motivo” famoso, per introdurre poi bruscamente ed improvvisamente, con tanto di collegamento mixato al precedente, oppure no, un nuovo brano originale. Ascoltando, ad esempio, lo spot della Q8 del 1999 (quello dell’automobilista che viene sorpassato da una barca a vela che solca l’asfalto come fosse mare), si riconosce molto bene la colonna sonora del telefilm (poi anche film) “Mission Impossible” scritta da Lalo Schifrin. Un altro episodio riconducibile a questo fenomeno lo si può scovare tra gli spot realizzati dalla Lavazza con Tullio Solenghi che intrattiene San Pietro, nell’episodio intitolato “Il compleanno”; in questo caso, la musica di Giancarlo Colonnello citava apertamente Burt Bacharach, per poi farsi più originale, mantenendo comunque il sapore lounge. Nell’ arco di una manciata di secondi, lo spettatore televisivo e potenziale consumatore viene: prima messo a proprio agio con il “già noto” alle orecchie e poi “risvegliato” bruscamente dal “torpore pubblicitario”, sorprendendolo con una “sterzata” improvvisa di melodia. Ma questo fenomeno di “Mash up” ha portato ad una conseguenza non priva di significato: solo le réclame degli anni ’60,’70,’80, e non altre, sono entrate a far parte della storia della società italiana e lo hanno fatto in maniera indelebile e meritevole.
In conclusione, è necessario sottolineare come, in generale, solo una parte limitata della nostra esperienza sonora sia stata composta da ascolti “volontari”, cioè da suoni che abbiamo deciso di ascoltare; infatti, la gran parte delle “vibrazioni” che abbiamo percepito, e che quotidianamente percepiamo, ci trova, distratti, concentrati principalmente su altre attività. La novità, però, è che, ora, accanto ai suoni delle “forme di vita dell’Universo”, generati per necessità naturali, anche la musica dell’ “homo economicus”, con la sua specifica finalità prettamente lucrativa, diffusa attraverso radio, televisione, e nuovi media, contribuisce, nel bene e nel male, a dare contenuto al fenomeno del “suono applicato alla necessità dell’evidenza”.
FONTI
Ennio Simeon, “Manuale di Storia della Musica nel Cinema”, Rugginenti Editore, 1995
Lucio Mazzi, dispensa n.6, “La musica nella pubblicità”
Marco Giusti, “Il grande libro di Carosello”, Sperling & Kupfer Editori, 1995
Massimiliano Nucci, “Musica e Pubblicità”, www.nucci.it
Wikipedia l’enciclopedia libera, “La televisione” e “La radio”